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«In altra grotta ritornerò pastore»: l’evoluzione del Presepe da Dante a Eduardo

Anche questo 2021 si avvicina alla sua conclusione, e con gentilezza ci prospetta la tanto sospirata riapertura del Museodivino! Invitiamo dunque i nostri lettori a prenotarsi per tempo: forniti di lente d’ingrandimento e torcetta luminosa potrete ammirare i presepi più piccoli del mondo, creati da Antonio Maria Esposito nel paziente segreto del suo studiolo … Di più non diciamo: l’ingresso è libero, scegliete data e ora e preparatevi a sgranare gli occhi! E quale modo migliore per festeggiare questa riapertura e il Natale se non seguendo le orme del presepe in tutta la sua dolce evoluzione? Dopo aver scoperto le meraviglie dei presepi medievali col professor Collareta, la nostra nuova collaboratrice Arianna Pacilio ci guiderà oggi nella storia che inizia al tempo di Dante e di Giotto, per approdare sulle spiagge di Partenope e trionfare nel centro storico di Napoli. Buona lettura a tutti! (S.C.)

Il Padre dei Presepi!

“Io sono il padre dei Presepi!” replicava fiero Lucariello (Eduardo De Filippo) a chi non piaceva «‘O presepe». Ma nessuna idea di grandiosità o smania di competizione in Luca Cupiello che crea il presepe innanzitutto per se stesso, per lenire l’anima stanca; il presepe è sì un rito sacro ma anche una «perdita di tempo» necessaria, meritata. Il risultato forse non è abbastanza maestoso per gli spettatori comuni: le montagne sono di cartone e i suoi pastori di terracotta rischiano di avere «a curona scurtecat» e «‘o mantiell cu na macchiulella». Ma non importa. Lucariello, quel modesto presepe lo vede sconfinato e ci si perde dentro, tanto da chiacchierare con Gesù Bambino. Mattina dopo mattina, nonostante il freddo del mondo «fuori dal letto» riscalda pazientemente la sua colla per costruirne uno nuovo, tutto suo, puro e incontaminato. L’innocenza di Luca però è fuori orario e il suo mondo anacronistico di cartapesta rischia di non reggere. Nati dalla pazienza di prodigiose mani, i pastori diventano abitanti di tanti piccoli mondi, dove la fragilità e la delicatezza trovano ancora uno spazio immenso; al riparo fra scampoli di cartone e grotte di muschio, diventano immagini che – citando Dante – “Pigliano gli occhi per avere la mente”. D’altro canto, per amore del vero storico certe attribuzioni di paternità ci imporrebbero, tuttavia, di fare un salto indietro, all’incirca di sette secoli, per comprendere la nascita e l’evoluzione di una delle massime rappresentazioni figurative della natività cristiana: «‘O presepio», per l’appunto.

Ma quando si diffonde la tradizione del Presepe?

Se restiamo nell’ambito della ‘tridimensionalità’, uno dei primi presepi della storia – secondo la Legenda Maior[1] di Bonaventura da Bagnoregio – è quello vivente fatto rappresentare nel 1223 da San Francesco d’Assisi a Greccio, piccolo borgo del Reatino incastonato fra le rocce. Noto ancora oggi per il suo Museo della Natività, è proprio sull’eremo di Greccio che, nel 1223, Francesco decise di ritirarsi, ormai ammalato e provato dalle continue discussioni interne al suo stesso Ordine; qui, circa due settimane prima del Natale, come racconta il suo biografo Tommaso da Celano, chiese al castellano Giovanni Velita di allestire in una grotta la ricostruzione della Notte della Natività. La sera del 24 dicembre, gli abitanti del luogo, per lo più pastori e contadini, come a riprodurre la narrazione del Vangelo, accorsero in gran festa alla grotta, recando con sé candele, fiaccole e doni. Il desiderio di rievocare la nascita di Gesù pare che fosse maturato in Francesco già nel 1222, durante un viaggio in Palestina, a Betlemme, dove ebbe modo di assistere ad alcune funzioni natalizie. Il Santo ne rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poter ripetere le celebrazioni. All’epoca – è bene ricordare – che nessuna rappresentazione, anche se sacra, poteva tenersi all’interno di una chiesa: ragione per cui il Papa concesse a Francesco la celebrazione di una messa da svolgersi rigorosamente all’aperto. Ed ecco che nasceva così il sacro rituale del presepe[2].

Il San Francesco di Dante

Non molto tempo dopo Dante stesso, nell’undicesimo canto del Paradiso, parlerà di Francesco come un «Sole» nato per illuminare il mondo. Dante dice, infatti, che ad Assisi, o meglio ad Ascesi, «nacque al mondo un sole».  È significativo che in alcuni codici antichi della Commedia invece di Ascesi, che era la forma usuale per chiamare Assisi, si trovi Scesi. È come se il Francesco di Dante, il suo nascere come un sole, illuminasse tanto l’ascendere (Ascesi) quanto lo scendere (Scesi).  Campione di virtù cristiane dall’ardore di un serafino, San Francesco è ricordato come l’imitator Christi: exemplum massimo di virtù, che perseguì così strenuamente l’ideale di povertà evangelica, in contrasto con la corruzione ecclesiastica e morale del tempo, da essere collocato nell’Empireo nel XXXII canto del Paradiso. La storia della Natività, di fatto, è essa stessa la storia di un viaggio: parabola di un itinerario disseminato di sofferenze e ostacoli capace, infine, di ricondurre verso casa e, pertanto, verso la salvezza. Nel 2020, del resto, fu proprio la Comunità francescana a far inserire nel presepe della basilica di Santa Croce di Firenze un omaggio al sommo poeta: si tratta di una statua di Dante – alta circa 60 cm – realizzata da padre Paolo Bocci. Attraverso il richiamo dantesco l’invito era quello di alzare lo sguardo verso la stella luminosa dell’amore di Dio, che eternamente muove e abbraccia l’Universo.

    Statua di Dante nel Presepe di Santa Croce

Da Greccio a Roma

Partendo da Greccio, dunque, il presepe divenne una tradizione popolare che si allargò in maniera capillare in tutta l’Italia centrale e in Emilia, mettendo radici fertili nel corso del XV anche a Napoli. Nelle decadi successive, soprattutto in seguito all’invito che Papa Paolo III rivolse ai fedeli attraverso il Concilio di Trento (1545-1563), il presepe conquisterà un posto d’onore anche nelle case nobiliari, sotto forma di soprammobile o nelle vesti di cappella in miniatura. La prima attestazione di un presepe costituito interamente da statuette risale invece al 1290-91, e fu quello realizzato da un certo Arnolfo di Cambio, scultore, architetto ed urbanista toscano su commissione del papa in persona, Niccolò IV, il cui obiettivo era di celebrare il presepe ideato da Francesco d’Assisi a Greccio 70 anni prima. Presepe che oggi è possibile ammirare presso il museo della Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma chiamata anche Santa Maria ad praesepem.

Il presepe nel tardo Rinascimento

Dobbiamo attendere l’epoca umanistico-rinascimentale perché la rappresentazione iconografica della Natività passi ad assumere forme più statiche e ‘sedentarie’: rappresentata dapprima con delle statue sistemate stabilmente nelle chiese, la nascita di Cristo rivivrà poi attraverso la costruzione di ricchissime culle le «rèpos de Jèsus» adorne di trine e campanellini d’argento. È nel corso del Cinquecento, del resto, che si afferma la cultura del presepe popolare, dopo che con San Gaetano di Thiene il paesaggio attorno alla greppia inizia ad arricchirsi di nuovi coprotagonisti: il bue e l’asinello, i pastori con il loro gregge, zampognari, re Magi e cammelli a seguito, senza tralasciare il coro di angeli intonanti la gloria dell’Altissimo. Successivamente, nel pieno del fermento barocco, gli artisti napoletani faranno a gara nell’inserire scene di vita quotidiana nella rappresentazione della Natività: a questa altezza cronologica, infatti, fanno la loro comparsa nel presepe personaggi di popolane, venditori di uova, frutta e finanche di mendicanti. Il presepe, assecondando il gusto baroccheggiante del secolo col suo amore per i ninnoli e gli eccessi più stravaganti, iniziava ad entrare con passo trionfale nelle case.

La statua di San Gaetano che osserva la “Via dei Presepi” di Napoli …

La sacra famiglia a corte: Il presepe borbonico del ‘700

Ma sarà il Settecento ad aggiudicarsi il titolo di «secolo del presepe». Sotto il regno di Carlo III di Borbone, infatti, inizia a prendere vita la professione di «figurinaio», quando gli «stucchini», coloro che realizzavano stucchi per i palazzi nobiliari iniziarono ad intagliare le prime statuette sacre di ispirazione rinascimentale. Il ‘700 segna una tappa importante nell’evoluzione della tradizione presepiale, quando, lontano ormai da ogni intento puramente devozionale diviene una moda per nobili, un passatempo a cui si dedicheranno gli stessi sovrani, compreso Carlo di Borbone ed eredi. Oltre alla corona il re Carlo (per 25 anni sul trono del regno delle Due Sicilie) ereditò dal padre Filippo V anche un’autentica passione per l’arte presepiale, promossa e praticata sempre con grande entusiasmo e devozione. Le principesse di Corte si occupavano direttamente della realizzazione degli abiti dei pastori. Prima fra tutte la regina Maria Amalia di Sassonia. Le figurine erano realizzate parte in terracotta, teste mani e piedi, mentre l’anima era in stoppa e fil di ferro.

Il presepe dei Borbone, composto da più di 1200 figure, esposto nella Reggia di Caserta

Il trionfo a Napoli e Caserta

Nella reggia di Caserta il presepe veniva allestito ed esposto dal 12 dicembre fino alla festa della Candelora, il 2 febbraio, giorno in cui la tradizione vuole andassero via i re Magi. Questa tradizione natalizia fu continuata da Ferdinando IV e Ferdinando II nella reggia di Caserta, San Leucio, Carditello, Portici e nelle altre residenze nelle quali i reali decidevano di trascorrere il Natale, (lo stesso Carlo IV di Borbone allestiva ogni anno il suo presepe in Spagna con pastori modellati a Napoli) e fu seguita poi da tutte le famiglie gentilizie come segno distintivo di cultura e potere. Per tutto il Settecento si assiste, pertanto, a un fervido modellare di innumerevoli figure presepiali. Con l’aumento del numero di statuine, il presepe si allarga e la rappresentazione realistica della quotidianità e dei suoi rumorosi protagonisti finisce, dunque, con l’invadere il silenzioso spazio della sacra famiglia: sarà allora che nell’immaginario collettivo il presepe inizierà a legarsi in modo indissolubile a Napoli, divenendo omaggio e simbolo della sua sapienza artigianale. Simbolo perché, nel presepe, personaggi e scenari possiedono un loro preciso significato: in questa rappresentazione Paradiso e Inferno, Bene e Male, Pagano e Cristiano s’incontrano e fondono. La fama del presepe napoletano avrebbe valicato ben presto i confini del Regno, tanto da attirare l’attenzione di artisti e scrittori di fama europea.

A chi volesse addentrarsi nella densa foresta di simboli nascosti nei variegati personaggi del presepe popolare napoletano non resta che munirsi di una guida valente come Virgilio: De Simone!

Goethe e il ricordo del Presepe napoletano nel suo “Viaggio in Italia” del 1787

Attratto da questa Napoli «gioconda» e dalle sue strane usanze, nel suo fortunato romanzo “Viaggio in Italia” scritto fra il 1813 e il 1817, lo scrittore tedesco Goethe ricordava:

“Ecco il momento di accennare a un altro svago caratteristico dei napoletani; vale a dire ai presepi, che a Natale si vedono in tutte le chiese e che rappresentano propriamente l’adorazione dei pastori, degli angeli e dei re magi, più o meno al completo, in gruppi eleganti e sfarzosi. In questa Napoli gioconda, tale rappresentazione è arrivata fin sulle terrazze delle case. Si costruisce un leggero palchetto a forma di capanna, tutto adorno di alberi e di alberelli sempre verdi; e lì ci si mette la Madonna, il Bambino Gesù e tutti i personaggi, compresi quelli che si librano in aria, sontuosamente vestiti per la festa: un complesso di guardaroba, per cui le famiglie spendono somme non piccole. Ma ciò che conferisce a tutto lo spettacolo una nota di grazia incomparabile è lo sfondo, in cui s’incornicia il Vesuvio coi suoi dintorni. Non è improbabile che, un tempo, fra questi fantocci ci siano mescolate anche delle figure viventi e che a poco a poco le famiglie nobili e ricche si siano divertite soprattutto a rappresentate la sera, nei loro palazzi, anche delle scene profane, tolte alla storia o alla poesia”.

Il primo presepe di Napoli

Tralasciando le pur numerose e antiche storie legate ad altre città e paesi, è innegabile che Napoli sia una delle maggiori fucine dell’arte presepiale. La prima menzione di un presepio a Napoli compare in un atto notarile del 1021, in cui viene citata la chiesa di Santa Maria «ad praesepe». Nel 1340, inoltre, la regina Sancia d’Aragona (moglie di Roberto d’Angiò) regalò alle Clarisse un presepe per la loro nuova chiesa, presepe, di cui oggi è rimasta solo la statua della Madonna nel Museo nazionale di San Martino. Se è vero che la storia è scritta dai vincitori, allora nella lotta fra “presepisti” e “alberisti” – come ricordava Luciano De Crescenzo – quella di Napoli è stata scritta sicuramente dai primi. Da secoli Napoli custodisce con sapienza l’arte presepiale, che, ancora oggi, freme lungo la sua arteria più pulsante: San Gregorio Armeno.  Un vero e proprio ‘cardine’ del tempo, un crocevia di antico e moderno dove il clima del Natale cattolico è custodito nelle meravigliose botteghe artigiane, fra sculture sacre e pastori ‘pop’ in una perenne mostra che non sembra risentire dei cambi di stagione.

 Arianna Pacilio

il presepe in guscio d’uovo di Antonio Maria Esposito

[1] La Leggenda maggiore (Legenda Maior), detta appunto Maior per distinguerla dalla Legenda minor che consiste in un compendio di carattere liturgico, è una biografia di San Francesco d’Assisi scritta in latino dal frate Bonaventura da Bagnoregio su commissione dell’Ordine dei Frati Minori e approvata dal capitolo generale di Pisa nel 1263. L’opera, che è preceduta da un prologo , è strutturata in quindici capitoli che narrano della vita e della morte del santo, seguiti dalla narrazione dei miracoli post mortem suddivisi in dieci sezioni.

[2] La parola «presepe» deriva infatti dal latino praesepe/praesepium “greppia, mangiatoia”, come quella in cui la tradizione cristiana vuole che sia stato adagiato Gesù appena nato.

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